“Non appena ho voluto raggiungere la perfezione, ho avuto l'immagine di una macchina a vapore”

Ada Lovelace


In Italia, nel 1884 la «Gazzetta Piemontese» (che diventerà poi «La Stampa» di Torino) annuncia la nascita di una «bellissima macchina per fare il caffè»: è l’invenzione di Angelo Moriondo che, pur ancora lontana dall’elaborazione delle prime macchine per espresso, ha il merito di offrire ai sempre più numerosi appassionati una bevanda di qualità che però non risulta ancora preparata “tazza per tazza” (quindi fatta appositamente per il cliente che la richiede), bensì preparata “istantaneamente” e in grandi quantità in un apposito contenitore di cui la macchina è dotata.

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Due di queste macchine, brevettate ma mai commercializzate, fanno bella mostra di sé nel Gran Caffè Ligure della famiglia Moriondo per il servizio pubblico di caffè istantaneo, come da lui definito, e non espresso. Al milanese Luigi Bezzera è dovuta l’invenzione del gruppo erogatore (molto simile a quello che ancora oggi per presenza del portafiltro a uno o più beccucci e con sistema di aggancio al corpo centrale della macchina) che di fatto connota la nascita del caffè espresso, realizzato espressamente al momento e in modo veloce su richiesta del cliente. L’invenzione, applicata alle macchine Pavoni, viene esposta per la prima volta alla Esposizione Internazionale di Milano del 1906, e da quel momento il settore decolla.

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Il giovane Giuseppe Cimbali affianca già La Pavoni nella realizzazione delle macchine che verranno esposte in fiera e inizia il proprio apprendistato in un settore che lo vedrà diventare protagonista negli anni successivi. Le macchine di questo periodo venivano manovrate da macchinisti dotati di patentino per tenerne sotto controllo vapore e pressione ed evitare che esplodessero. Erogatrici di un caffè scuro, bollente e privo di crema, molto lontano dall’espresso comunemente noto, riflettono anche esteticamente lo stile di un’epoca, legando d’ora in avanti, indissolubilmente, stile e design industriale in un linguaggio armonico. Lo stile liberty o art nouveau, con linee curve e sinuose, smalti, decorazioni esotiche a tema vegetale ispirate alla semisconosciuta pianta del caffè connoterà, per esempio, le macchine degli albori fino al periodo razionalista.

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Da qui in avanti e per decenni le macchine sono protagoniste indiscusse sui lussuosi banconi dei caffè e degli american bar dell’epoca, riflettendo lo stile di ciascun periodo storico e connotandosi come un prodotto dell’ingegno italiano che ben presto travalicherà i confini nazionali. Le macchine si diffondono e con loro la parola espresso diventa presto sinonimo di caffè italiano, gustoso e forte: Bezzera, La Pavoni, Eterna, Victoria Arduino, Condor, La San Marco sono alcuni dei marchi che presto prendono piede, mentre nel 1912 Giuseppe Cimbali, intuendo il crescente investimento industriale nel settore, decide di aprire la propria piccola bottega per fornire di caldaie i produttori di macchine per caffè.

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E nell’ambito della materia prima?

Nei porti di Venezia, Genova, Trieste e Napoli i chicchi continuano a giungere come nel passato dai paesi d’origine, mentre si sviluppano le prime torrefazioni. Dalla fine dell’Ottocento queste iniziano a organizzarsi in realtà destinate a diventare internazionali, come Vergnano (1882) o Lavazza (1895). Grazie a loro il Piemonte diventa la culla della torrefazione industriale italiana, destinata a svilupparsi anche nei pressi di altri porti come Trieste (Hausbrandt nel 1892 e Illy successivamente nel 1933), fino a contare oggi in Italia circa ottocento da micro a grandi aziende che trasformano il caffè crudo in tostato, rendendo il nostro paese il luogo da cui si esporta caffè torrefatto in tutto il mondo.