Si scopre il benessere: si viaggia, aprono i supermercati, crescono le vendite di tv e lavatrici. Le macchine per caffè si vestono di design
"Un designer dovrebbe sapere che gli oggetti possono diventare lo strumento di un rito esistenziale."
Ettore Sottsass
Dalle due ruote alle auto sportive, dalla povertà alla ricchezza, dagli abiti rammendati ai vestiti alla moda; si girano due film che ben rappresentano il passaggio dal periodo precedente agli anni Sessanta: Ladri di biciclette (1948) e Il sorpasso (1962). Tra i due l’Italia vive la ricostruzione, l’immigrazione da sud a nord e dalla campagna alla città, con l’avvio del boom economico e del benessere diffuso. Sono gli anni in cui dai trionfi di Coppi e Bartali dei decenni precedenti, eroi di un paese povero e rurale e di una nazione ancora da inventare, si passa a Merckx, il primo ciclista moderno. Del campione (e della maglia FAEMA da lui indossata) si parla nei bar, dove ci si ritrova per discutere le notizie riportate dalla «Gazzetta» e dalla radio, poi dalla tv. Caffè e ciclismo, un inscindibile connubio che perdura anche oggi.
Gli anni Sessanta sono ancorati al periodo precedente della ricostruzione postbellica e alla politica centrata sui partiti di massa, sul welfare-state, sulla centralità delle grandi fabbriche e della produzione di beni mass-market, trainati dal boom economico. Con la crescita dei consumi inizia a emergere la globalizzazione culturale, produttiva e finanziaria dei decenni successivi. Le persone scoprono il benessere: si va in vacanza, aprono i supermercati, crescono le vendite di auto, tv e lavatrici e le macchine per caffè “si vestono di design”. L’Italia diventa moderna: il 31 luglio dei primi anni Sessanta le auto sono cariche già dalla sera prima, le famiglie partono la notte per evitare code e ingorghi e il viaggio è scandito dalle tappe negli autogrill per bere un caffè per restare svegli. Sono gli anni dei primi esodi, quando fabbriche e uffici chiudono i battenti lo stesso giorno e in migliaia – poche ore dopo – si riversano sulle strade con le auto stipate di bagagli e figli. Le vacanze non sono più un privilegio d’élite e diventano una conquista sociale. Sempre sulla scia del boom, nelle grandi città comincia a imporsi una tendenza importata dagli Stati Uniti: la spesa al supermercato. Proprio in questo contesto comincia la vera e propria industrializzazione del settore delle macchine per caffè, che diventano standardizzate e facilmente assemblabili in linea di montaggio. La produzione passa da artigianale a industriale, e i crescenti volumi di vendite consentono di portare l’espresso in ogni bar. Le imprese, avvalorate da logiche produttive capaci di ottimizzare tempo e risorse, permettono di allargare gli orizzonti commerciali di questo nascente settore del made in Italy, che abbina sempre più tecnologia e design. Materiali all’avanguardia, firme di architetti e designer famosi, insieme a una continua ricerca tecnologica, rendono le macchine per caffè “compagne” della vita quotidiana, stabilendo nuovi standard nell’erogazione dell’espresso.
Il design, già emblematico nelle macchine del decennio precedente grazie a firme come Gio Ponti, Bruno Munari ed Enzo Mari, trova ora negli anni Sessanta e Settanta la sua consacrazione. Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Rodolfo Bonetto, Marco Zanuso, Ettore Sottsass, Aldo Cibic sono solo alcune delle firme illustri che in quegli anni rivolgono la loro attenzione al mondo delle macchine per caffè, in un’incessante ricerca per unire tecnologia e stile in modo indissolubile. Il decennio si apre con una novità introdotta da FAEMA: il lancio di una macchina per caffè veramente innovativa, il modello Tartaruga (TRR), la cosiddetta «macchina a erogazione continua», che evolve l’anno seguente nel modello E61 (nome dato in occasione dell’eclissi di sole avvenuta quell’anno in Italia). La macchina, diventata un’icona nel mondo dei bar per estetica e qualità del caffè erogato, è ancora richiesta e prodotta oggi, anche perché l’invenzione della elettropompa volumetrica, oltre a influire positivamente sull’estrazione della bevanda con la crema, consente all’operatore un notevole risparmio di fatica: infatti tutto il pesante e pericoloso lavoro richiesto fino ad allora dalle manovre su pistone e leva viene sostituito dal semplice utilizzo di una levetta che alleggerisce e semplifica il lavoro del o della barista.
Sul fronte del design, in questo periodo le macchine per caffè diventano veri e propri capolavori delle più celebri matite italiane: la consacrazione arriva nel 1962, quando i fratelli Achille e Pier Giacomo Castiglioni vengono insigniti del Compasso d’Oro, il più autorevole premio italiano per il design industriale concepito dall’eclettica mente di Gio Ponti. Per la prima e unica volta nella storia, una macchina per caffè espresso professionale si aggiudica il prestigioso riconoscimento: il modello Pitagora di La Cimbali incanta la giuria con un design essenziale e pulito. L’inedito utilizzo dell’acciaio inox e un telaio studiato per facilitare da un lato la produzione industriale e, dall’altro, gli interventi di manutenzione, grazie a un limitatissimo numero di pezzi e a un meccanismo di smontaggio estremamente semplice, ne garantiscono un successo senza precedenti.
Non stupisce che La Cimbali si trasferisca in quegli anni da Milano a Binasco, per sopperire alle esigenze di uno spazio più ampio e adatto alla produzione in serie. Gli anni Settanta passeranno alla storia come gli Anni di Piombo, ma il grigiore del decennio paradossalmente è compensato dalle nuove forme, materiali e colori delle macchine per caffè. L’influenza americana ancora una volta si fa sentire, in un periodo in cui a livello sociale – tra rivoluzioni giovanile, femminile e operaia – i cambiamenti sono epocali, mentre a livello politico ed economico si deve far fronte alla prima grande crisi del dopoguerra. Nell’ambito il design la cultura pop spariglia le sfumature, introducendo in tutti i settori colori sgargianti tesi a esprimere una dirompente affermazione di sé. L’ultima, grande rivoluzione che investe il settore delle macchine per caffè è quella meno ricercata, se vogliamo, ma senz’altro di maggiore impatto sui consumatori: un nuovo punto di vista, un cambio di relazione. Il lavoro e la società impongono ritmi sempre più frenetici, il caffè si consuma al volo e si favorisce una maggiore produttività del bancone, con più spazio per servire i clienti. Le macchine così vengono confinate nello spazio del retro-banco, costringendo il barista a dare le spalle al cliente nella preparazione. Perde spessore la relazione, facilitatrice nei decenni precedenti di un consumo lento e “sociale”, garanzia di una qualità di scambio barista/avventore ben più significativa del semplice servizio.
È solo uno spostamento di qualche metro, che imprime però una svolta epocale: l’estetica cambia totalmente, la ricerca si concentra sui gruppi di erogazione, i volumi si ridimensionano e tendono alla compattezza. Ancora una volta La Cimbali, in collaborazione con Rodolfo Bonetto, anticipa questa tendenza con la M15, primo modello colorato che assume una forma dei fianchi a “C” per consentire di compattare i volumi pur garantendo più spazio di manovra laterale al barista. Il posizionamento sul retro-banco è un cambiamento dai tratti europei che non trova eco oltreoceano: negli Stati Uniti, infatti, come in Australia, le macchine continuano a occupare il posto da protagonista sul bancone. Questa dicotomia sfida i designer a trovare soluzioni in cui le macchine non presentino più un lato nobile da mostrare ai clienti e uno da celare, ma possano essere esposte da entrambi i lati, con caratteristiche estetiche accattivanti. confine del piacere, per cibarsi dei sogni.»